Seconda lettera a Timoteo 4:1-22

4  Davanti a Dio e a Cristo Gesù, il quale deve giudicare+ i vivi e i morti,+ ti ordino solennemente per la sua manifestazione+ e per il suo Regno:+  predica la parola,+ fallo con urgenza sia in tempi favorevoli che difficili, riprendi,+ rimprovera ed esorta, con ogni pazienza e arte di insegnare.+  Infatti ci sarà un tempo in cui non sopporteranno il sano insegnamento,+ ma secondo i loro desideri si circonderanno di maestri che dicano loro quello che vogliono sentirsi dire.+  Rifiuteranno di ascoltare la verità e presteranno attenzione a false storie.+  Tu, comunque, mantieniti assennato in ogni cosa,+ sopporta le sofferenze,+ svolgi l’opera di evangelizzatore, compi pienamente il tuo ministero.+  Quanto a me, vengo già versato come una libagione,*+ e il tempo della mia liberazione+ è imminente.  Ho combattuto l’eccellente combattimento,+ ho corso la corsa sino alla fine,+ ho osservato la fede.  D’ora in poi mi è riservata la corona della giustizia,+ che il Signore, il giusto giudice,+ mi darà come ricompensa in quel giorno,+ e non solo a me, ma anche a tutti quelli che hanno amato la sua manifestazione.  Fa’ tutto il possibile per venire presto da me, 10  perché Dema,+ avendo amato l’attuale sistema di cose, mi ha abbandonato e se n’è andato a Tessalonica, Crescente è andato in Galàzia, Tito in Dalmazia. 11  Solo Luca è con me. Porta con te Marco, perché mi è utile nel ministero.+ 12  Tìchico+ invece l’ho mandato a Efeso. 13  Quando vieni, portami il mantello che ho lasciato a Tròas* in casa di Carpo, e i rotoli, soprattutto le pergamene. 14  Alessandro, il ramaio, mi ha arrecato molti danni. Geova lo ripagherà secondo le sue azioni.+ 15  Guardati anche tu da lui, perché si è opposto al nostro messaggio in maniera estrema. 16  Nella mia prima difesa nessuno è stato al mio fianco; mi hanno abbandonato tutti, ma questo non sia imputato loro. 17  Il Signore però mi è stato vicino e mi ha infuso potenza,+ affinché per mezzo mio la predicazione della buona notizia fosse compiuta pienamente e tutte le nazioni la ascoltassero;+ e sono stato liberato dalla bocca del leone.+ 18  Il Signore mi libererà da ogni opera malvagia e mi salverà per il suo Regno celeste.+ A lui vada la gloria per i secoli dei secoli. Amen. 19  Da’ i miei saluti a Prisca e Aquila,+ e alla casa di Onesìforo.+ 20  Eràsto+ si è fermato a Corinto, mentre Tròfimo,+ che si è ammalato, l’ho lasciato a Milèto. 21  Fa’ tutto il possibile per arrivare prima dell’inverno. Ti mandano i loro saluti Èubulo, Pudènte, Lino, Claudia e tutti i fratelli. 22  Il Signore sia con lo spirito che tu mostri. La sua immeritata bontà sia con voi.

Note in calce

O “Tròade”.

Approfondimenti

tribunale del Cristo In Ro 14:10 Paolo menziona il “tribunale di Dio”. Geova però giudica attraverso suo Figlio (Gv 5:22, 27), ed è per questo che qui si parla del “tribunale del Cristo”. All’epoca dei primi cristiani a fungere da tribunale era di solito una piattaforma rialzata (in greco bèma), posta all’aperto, a cui si accedeva mediante scalini. Le autorità vi si sedevano per rivolgersi alle folle e annunciare le loro decisioni (Mt 27:19; Gv 19:13; At 12:21; 18:12; 25:6, 10). Qui in 2Co 5:10 l’utilizzo da parte di Paolo di questo termine può aver ricordato ai corinti l’impressionante tribunale della loro città. (Vedi Glossario, “tribunale”, e Galleria multimediale, “Tribunale di Corinto”.)

ti ordino solennemente Questa espressione dal tono così perentorio traduce un verbo greco che secondo un lessico descrive “un’esortazione data con autorità su una faccenda della massima importanza”. (Lo stesso verbo compare anche nella Settanta, per esempio in 1Sa 8:9 e 2Cr 24:19.) Paolo ha appena spiegato come gestire casi riguardanti un anziano accusato di aver commesso un peccato; ha poi messo in risalto la necessità di riprendere coloro che praticano il peccato. Ora, dato che tali questioni sono così importanti, si rivolge a Timoteo davanti a Dio e a Cristo Gesù, facendo così riflettere sul fatto che quello che accade anche nelle conversazioni private tra uomini nominati è chiaramente visibile alle due massime autorità dell’universo (Ro 2:16; Eb 4:13).

manifestazione del nostro Signore Gesù Cristo Per come è usato nelle Scritture, il termine greco per “manifestazione” (epifàneia) fa riferimento all’evidenza tangibile di qualcosa o a una dimostrazione di autorità o potenza. Viene usato, ad esempio, a proposito del periodo vissuto da Gesù qui sulla terra (2Tm 1:10 e approfondimento), ma anche a proposito di vari eventi che hanno luogo durante la sua presenza regale. (Vedi ad esempio approfondimento a 2Ts 2:8.) In questo contesto, il termine “manifestazione” si riferisce a uno stabilito periodo di tempo futuro in cui la posizione ricoperta da Gesù in cielo, in tutta la sua gloria e potenza, sarà chiaramente riconoscibile (Da 2:44; 7:13, 14; 1Tm 6:15; 2Tm 4:1).

Cristo Gesù, il quale deve giudicare i vivi e i morti Nelle Scritture Ebraiche, Geova Dio viene definito “il Giudice di tutta la terra” (Gen 18:25). Anche nelle Scritture Greche Cristiane, Geova viene chiamato “Giudice di tutti” (Eb 12:23). Comunque, le Scritture Ebraiche profetizzavano che anche il Messia avrebbe agito in qualità di giudice (Isa 11:3-5). In armonia con queste profezie, Gesù rivelò che il Padre aveva “interamente affidato il giudizio al Figlio” (Gv 5:22, 27). Per di più la Bibbia parla di Gesù come di “colui che Dio ha costituito giudice dei vivi e dei morti” (At 10:42; 17:31; 1Pt 4:5; vedi anche approfondimento a 2Co 5:10).

ti ordino solennemente Con questa espressione Paolo cerca di imprimere nella mente di Timoteo la serietà di quello che sta per dirgli. (Vedi l’approfondimento a 1Tm 5:21, dove Paolo usa la stessa espressione.) Lui e Timoteo si erano dati tanto da fare per rafforzare le congregazioni e proteggerle dall’influenza dei falsi maestri. Sapendo che la sua morte è imminente (vv. 6-8), Paolo vuole che Timoteo continui a vigilare mentre applica le direttive che seguono (vv. 2-5).

la sua manifestazione In questo contesto, per “manifestazione” si intende uno stabilito periodo di tempo futuro in cui la posizione ricoperta da Gesù in cielo, in tutta la sua gloria, sarà chiaramente riconoscibile. Sarà allora che eseguirà i giudizi di Dio sull’umanità (Da 2:44; 7:13, 14; vedi anche approfondimento a 1Tm 6:14).

capace di maneggiare correttamente la parola della verità Qui Paolo usa un verbo greco che alla lettera significa “tagliare in linea retta (correttamente)”. Sono state avanzate varie ipotesi su cosa intendesse Paolo con queste parole. Per esempio, essendo fabbricante di tende, potrebbe aver pensato a una stoffa tagliata in modo preciso, diritto. O forse potrebbe aver pensato a come il verbo è usato nella Settanta in Pr 3:6 e 11:5, dove si parla metaforicamente del rendere diritti i propri sentieri, la propria strada. Questo verbo poteva essere utilizzato anche in altri modi, ad esempio per descrivere l’azione con cui il contadino traccia nel terreno un solco diritto. In ogni caso Paolo stava in pratica dicendo a Timoteo di insegnare la Parola di Dio “correttamente”: doveva cioè utilizzarla nel modo giusto, spiegarla accuratamente ed evitare di perdersi dietro a discussioni su parole, punti di vista personali o altre questioni di poco conto (2Tm 2:14, 16).

svolgi l’opera di evangelizzatore O “continua a predicare la buona notizia”. Gesù aveva affidato a tutti i cristiani il compito di evangelizzare, ovvero proclamare la buona notizia della salvezza che viene da Dio (Mt 24:14; 28:19, 20; At 5:42; 8:4; Ro 10:9, 10). Nelle Scritture Greche Cristiane i termini relativi all’opera di evangelizzazione di solito si riferiscono alla predicazione a favore dei non credenti. Quale sorvegliante cristiano, Timoteo aveva molte responsabilità legate all’insegnamento all’interno della congregazione, come descritto nei vv. 1 e 2. Comunque, lui e gli altri sorveglianti dovevano anche partecipare alla predicazione della buona notizia al di fuori della congregazione.

Riprendi Nell’uso biblico il verbo greco qui reso “riprendi” trasmette spesso l’idea di convincere qualcuno che ha sbagliato. Una riprensione viene data con il buon intento di spingere la persona a riconoscere il proprio errore e a correggerlo. Un dizionario dice che questo verbo può significare anche “correggere” nel senso di “allontanare dal peccato e indurre al pentimento”. Si tratta di una disciplina che ha valore educativo. In Gv 16:8 lo stesso verbo greco è reso “dare prove convincenti”.

incoraggia O “esorta”. Il verbo usato qui (parakalèo) significa letteralmente “chiamare a sé”. Ha un significato ampio e viene usato nel senso di “incoraggiare” (At 11:23; 14:22; 15:32; 1Ts 5:11; Eb 10:25), “confortare” (2Co 1:4; 2:7; 7:6; 2Ts 2:17) e in alcuni contesti “esortare” (At 2:40; Ro 15:30; 1Co 1:10; Flp 4:2; 1Ts 5:14; 2Tm 4:2; Tit 1:9, nt.). Lo stretto rapporto che c’è tra esortazione, conforto e incoraggiamento indica che un cristiano non dovrebbe mai esortare o consigliare qualcuno in modo duro o aspro.

esortazione O “incoraggiamento”. Anche se esortare altri implica spronarli all’azione, il termine greco usato qui trasmette pure l’idea di dare incoraggiamento e conforto. Proprio come doveva prepararsi bene per la lettura pubblica e l’insegnamento, Timoteo doveva impegnarsi con dedizione a consolare e incoraggiare i fratelli. (Vedi approfondimenti a Ro 12:8; Flp 2:1.)

essere pazienti con tutti I termini greci che si riferiscono alla pazienza denotano la capacità di perseverare con calma e di non arrabbiarsi facilmente, caratteristica costantemente evidente nel modo in cui Geova e Gesù trattano con gli esseri umani (Ro 2:4; 9:22; 1Tm 1:16; 1Pt 3:20; 2Pt 3:9, 15; vedi approfondimento a Gal 5:22). Dato che imitano Geova e Gesù, anche i cristiani devono manifestare pazienza (1Co 11:1; Ef 5:1). Il verbo greco che compare in questo versetto ricorre due volte anche nella parabola di Gesù in cui due schiavi supplicano: “Abbi pazienza con me” (Mt 18:26, 29). Lo “schiavo malvagio” e spietato si rifiuta di essere paziente e misericordioso, a differenza del padrone, che Gesù usa per descrivere il suo Padre celeste (Mt 18:30-35). La parabola di Gesù e la presenza dello stesso verbo in 2Pt 3:9 fanno pensare che manifestare pazienza nei confronti degli altri include l’essere misericordiosi e pronti a perdonare.

del suo modo d’insegnare Questa espressione si riferisce non solo a come Gesù insegnò, cioè ai suoi metodi didattici, ma anche a quello che insegnò, cioè l’insieme delle indicazioni contenute nel Discorso della Montagna.

insegnando loro Il verbo greco “insegnare” implica istruire, spiegare, argomentare in modo convincente e fornire prove a sostegno di ciò che si dice. (Vedi approfondimenti a Mt 3:1; 4:23.) Insegnare a qualcuno a osservare tutte le cose comandate da Gesù dovrebbe essere un processo continuo, che include insegnargli ciò che Gesù ha insegnato, aiutarlo ad applicarne gli insegnamenti e a seguirne l’esempio (Gv 13:17; Ef 4:21; 1Pt 2:21).

capace di insegnare Un sorvegliante dovrebbe essere un abile insegnante, che sappia trasmettere ai suoi compagni di fede le verità e i princìpi morali che si trovano nelle Scritture. Nella sua lettera a Tito, Paolo dice che il sorvegliante deve essere “uno che nella sua arte di insegnare si attenga fermamente alla fedele parola”; in questo modo riuscirà a incoraggiare, esortare e riprendere (Tit 1:5, 7, 9 e approfondimenti). Paolo usa l’espressione “capace di insegnare” anche nella sua seconda lettera a Timoteo, dove dice che “lo schiavo del Signore” deve essere “in grado di controllarsi [...], esortando con mitezza quelli che si oppongono” (2Tm 2:24, 25). Quindi un sorvegliante dovrebbe essere in grado di ragionare in modo convincente usando le Scritture, di dare validi consigli e di arrivare al cuore di chi lo ascolta. (Vedi approfondimento a Mt 28:20.) Deve studiare con attenzione la Parola di Dio così da poter insegnare ad altri che a loro volta studiano la Bibbia.

predica la parola Il contesto suggerisce che qui Paolo si riferisce principalmente al predicare all’interno della congregazione (2Tm 4:3, 4). Essendo un sorvegliante, Timoteo doveva predicare la parola di Dio in modo efficace così da rafforzare la fede di quelli che lo ascoltavano e da aiutarli a opporsi alle idee apostate. I falsi maestri suscitavano dibattiti incentrati su parole e si affidavano a opinioni personali e false storie. I sorveglianti, invece, dovevano predicare solamente “la parola”, l’ispirata Parola di Dio. (Vedi approfondimento a 2Tm 2:15; vedi anche 2Tm 3:6-9, 14, 16.) In senso più generico, questo consiglio si può applicare anche al predicare al di fuori della congregazione; Paolo infatti prosegue esortando Timoteo a “[svolgere] l’opera di evangelizzatore” (2Tm 4:5 e approfondimento).

fallo con urgenza Alla lettera il verbo greco usato qui da Paolo può essere reso “mettere sopra”, ma ha un significato ampio. Spesso è tradotto “stare vicino o presso”, “essere pronto”. In alcuni casi veniva usato in ambito militare in riferimento a una sentinella o a un soldato che dal suo posto di guardia era sempre pronto a intervenire. Si poteva riferire anche al prestare immediatamente attenzione a qualcosa. Include pure l’idea di essere entusiasta e tenace. Paolo desidera che Timoteo sia pronto a cogliere ogni opportunità per “[predicare] la parola”. (Vedi l’approfondimento predica la parola in questo versetto.)

sia in tempi favorevoli che difficili O “in tempo opportuno, in tempo non opportuno”. Paolo esorta Timoteo a continuare a difendere le verità della Parola di Dio in qualsiasi situazione. Deve farlo durante periodi di relativa pace, ma deve persistere anche davanti a ostacoli come la persecuzione da parte di falsi maestri e i loro tentativi di dividere la congregazione.

riprendi Vedi approfondimento a 1Tm 5:20.

rimprovera Il verbo greco che compare qui significa “redarguire”, “ammonire con forza” oppure “ordinare severamente”. Potrebbe riferirsi a un avvertimento dato allo scopo di impedire a una persona di fare qualcosa o di fermarla perché non continui ad agire in un certo modo (Mt 16:20; Mr 8:33; Lu 17:3).

esorta Vedi approfondimenti a Ro 12:8; 1Tm 4:13.

con ogni pazienza Timoteo aveva imparato molto sulla pazienza da Paolo (2Tm 3:10). Essendo un sorvegliante, Timoteo aveva bisogno di tanta pazienza perché alcuni nella congregazione erano stati contagiati da falsi insegnamenti. Quando riprendeva, rimproverava ed esortava i suoi compagni di fede, avrebbe dovuto padroneggiarsi sempre, facendo con pazienza appello al loro desiderio di fare ciò che era giusto. Se si fosse infastidito o avesse ceduto alla frustrazione, avrebbe potuto allontanare alcuni o persino far indebolire la loro fede. (1Pt 5:2, 3; vedi approfondimento a 1Ts 5:14).

con ogni [...] arte di insegnare L’espressione qui resa “arte di insegnare” traduce un unico sostantivo greco che si può riferire sia al modo di insegnare sia a ciò che viene insegnato. (Vedi l’approfondimento a Mt 7:28, dove lo stesso termine greco è reso “modo d’insegnare”.) In questo contesto l’attenzione è posta sullo stile dell’insegnamento, ed è per questo che il termine è stato reso “arte di insegnare”. Dal momento che Paolo in questa frase usa la parola greca che significa “ogni” o “tutta”, in alcune traduzioni compaiono rese come “ogni tipo di insegnamento”, “tutta la capacità d’insegnare” oppure “istruzione scrupolosa”. Commentando questo versetto, uno studioso ha affermato che Timoteo “doveva dimostrare sempre di essere un insegnante della verità cristiana bravo e pieno di risorse” (1Tm 4:15, 16; vedi approfondimenti a Mt 28:20; 1Tm 3:2).

il sano insegnamento Qui Paolo si riferisce agli insegnamenti del Signore Gesù Cristo. Comunque, dal momento che tutto ciò che Gesù ha insegnato è in armonia con il resto delle Scritture, l’espressione “sano [o “benefico”] insegnamento” può riferirsi per estensione a tutti gli insegnamenti biblici. (Vedi approfondimento a 2Tm 1:13.)

alcuni si allontaneranno dalla fede Paolo predice che alcuni sedicenti cristiani avrebbero abbandonato gli insegnamenti divini contenuti nelle Scritture e si sarebbero allontanati dalla vera adorazione. Il verbo greco originale per “allontanarsi da” letteralmente significa “stare lontano da” e può anche essere reso “rinunciare” (2Tm 2:19). È affine al sostantivo reso “apostasia”. (Vedi approfondimento a 2Ts 2:3.)

sano O “benefico”. (Vedi approfondimento a 1Tm 6:3.)

che dicano loro quello che vogliono sentirsi dire O “per farsi solleticare gli orecchi”. Nell’originale Paolo ricorre a una vivida metafora contenente un verbo che può significare “solleticare”, “grattare”, ma anche “sentire prurito”. Compare solo qui nelle Scritture Greche Cristiane. A quanto pare la metafora fa pensare a persone che avvertono il desiderio (che alcune traduzioni paragonano a un prurito) di ascoltare quello che soddisfa i loro desideri egoistici anziché quello che le aiuterebbe a continuare a essere spiritualmente sane. Quindi si scelgono maestri che solleticano i loro orecchi, per così dire, dicendo loro quello che vogliono sentire. A motivo della predetta apostasia, ci sarebbe stata una marea di discepoli egoisti e di falsi maestri opportunisti; ecco perché l’opera di Timoteo era urgente. (Vedi approfondimento a 1Tm 4:1.)

false storie In 2Tm 4:4 “false storie” e “verità” sono messe in contrapposizione. Il termine greco qui reso “false storie” è mỳthos, che secondo un lessico può essere definito “leggenda”, “favola”, “mito”. Nelle Scritture Greche Cristiane è sempre usato con un’accezione negativa. Paolo forse aveva in mente leggende stravaganti che promuovevano insegnamenti religiosi falsi o dicerie di natura sensazionale (Tit 1:14; 2Pt 1:16; vedi approfondimento a 1Tm 4:7). In questo versetto esorta i cristiani a non prestare attenzione, o non dedicare tempo, a tali false storie, perché non sarebbero state di nessuna utilità e avrebbero potuto distogliere la loro mente dalla verità contenuta nella Parola di Dio (2Tm 1:13).

false storie Vedi approfondimento a 1Tm 1:4.

restiamo [...] sobri Il verbo greco qui reso “restare sobri” compare anche in 1Ts 5:8 (“manteniamoci sobri”), 2Tm 4:5 (“mantieniti assennato”), 1Pt 1:13 (“siate [...] assennati”), 4:7 (“siate [...] sempre pronti”) e 5:8 (“mantenetevi assennati”).

buona notizia Prima occorrenza del termine greco euaggèlion, reso “vangelo” in diverse Bibbie italiane. Il termine greco affine euaggelistès, reso “evangelizzatore”, significa “uno che proclama buone notizie” (At 21:8; Ef 4:11, nt.; 2Tm 4:5, nt.).

annunciare la buona notizia Il verbo greco euaggelìzomai, che compare qui, ricorre 54 volte nelle Scritture Greche Cristiane. Negli scritti di Luca compare spesso (Lu 1:19; 2:10; 3:18; 4:18; 8:1; 9:6; 20:1; At 5:42; 8:4; 10:36; 11:20; 13:32; 14:15, 21; 15:35; 16:10; 17:18). Il verbo kerỳsso, che porta in sé l’idea di “predicare” o “proclamare” (Mt 3:1; 4:17; 24:14; Lu 4:18, 19; 8:1, 39; 9:2; 24:47; At 8:5; 28:31; Ri 5:2), e il verbo euaggelìzomai (qui reso “annunciare la buona notizia”) trasmettono sfumature diverse. Il primo sottolinea il modo in cui avviene la proclamazione, dando l’idea di una dichiarazione pubblica, ufficiale. Il secondo dà risalto al contenuto, alla “buona notizia” che viene portata o annunciata. Il sostantivo affine euaggèlion (“buona notizia”) ricorre 76 volte nelle Scritture Greche Cristiane. (Vedi approfondimenti a Mt 4:23; 24:14 e Glossario, “buona notizia”.)

dichiarare la buona notizia Il verbo greco euaggelìzomai qui usato è affine al sostantivo euaggèlion (“buona notizia”). Nelle Scritture Greche Cristiane un aspetto importante di questa buona notizia è strettamente collegato al Regno di Dio, tema dell’opera di predicazione e di insegnamento di Gesù, e alla salvezza mediante la fede in Gesù Cristo. Nel libro degli Atti il verbo greco euaggelìzomai ricorre tante volte, il che dà risalto all’opera di predicazione (At 8:4, 12, 25, 35, 40; 10:36; 11:20; 13:32; 14:7, 15, 21; 15:35; 16:10; 17:18; vedi approfondimenti a Mt 4:23; 24:14).

evangelizzatore Il termine greco euaggelistès, qui reso “evangelizzatore”, significa fondamentalmente “uno che proclama buone notizie”. (Vedi approfondimento a Mt 4:23.) A tutti i cristiani è affidato l’incarico di proclamare la buona notizia (Mt 24:14; 28:19, 20; At 5:42; 8:4; Ro 10:9, 10), ma dal contesto dei tre versetti in cui ricorre questo termine greco si evince che “evangelizzatore” può essere usato con un significato speciale (At 21:8; Ef 4:11; nt.; 2Tm 4:5; nt.). Ad esempio, quando è utilizzato in riferimento a una persona che dà il via all’opera di predicazione della buona notizia in un luogo in cui non è mai stata predicata, il termine greco può anche essere reso “missionario”. Dopo la Pentecoste, Filippo diede inizio con grande successo all’opera di predicazione nella città di Samaria. Inoltre, un angelo gli ordinò di predicare la buona notizia riguardo a Cristo a un eunuco etiope, che fu da lui battezzato. Quindi lo spirito lo condusse ad Asdod perché predicasse in quella città e, da lì fino a Cesarea, in tutte le città che avrebbe attraversato (At 8:5, 12, 14, 26-40). Circa 20 anni dopo, quando si verificò ciò che è riportato qui in At 21:8, Filippo era ancora chiamato “l’evangelizzatore”.

evangelizzatori La parola greca usata qui da Paolo fondamentalmente significa “predicatore, o divulgatore, di una buona notizia”. È affine al termine greco reso “vangelo” o “buona notizia”, e nelle Scritture Greche Cristiane compare solo qui e in altri due versetti (2Tm 4:5; vedi approfondimento ad At 21:8). L’incarico di proclamare la buona notizia è affidato a tutti i cristiani (Mt 24:14; 28:19, 20). Ma sembra che qui Paolo usi il sostantivo “evangelizzatori” in modo particolare, con il senso di “missionari”, come lo erano ad esempio lui, Timoteo, Barnaba e Sila. Tutti loro viaggiarono molto, percorrendo lunghe distanze, per dare il via all’opera di predicazione in luoghi in cui la buona notizia non era ancora mai arrivata (At 13:2-4; 15:40, 41; 16:3, 4).

onoro O “glorifico”. Il verbo greco doxàzo (“glorificare”, “dare onore a”), affine al termine dòxa (“gloria”, “onore”), viene spesso usato in relazione all’onore rivolto a Dio (Mt 5:16; 9:8; Mr 2:12; Lu 2:20; 5:25, 26; At 4:21; 11:18; Ro 15:6, 9). In questo contesto può trasmettere il concetto di “essere orgoglioso di”, “prendere seriamente”, “valorizzare”. Paolo mostra di ritenere molto prezioso il suo “ministero”: lo considera un grandissimo onore.

il mio ministero Quando era sulla terra, Gesù incaricò i suoi seguaci di fare discepoli di persone di tutte le nazioni (Mt 28:19, 20). Paolo chiama quell’opera “il ministero della riconciliazione”. Come lui stesso spiega, infatti, i cristiani implorano il mondo lontano da Dio di riconciliarsi con Lui (2Co 5:18-20). Nel suo ministero cristiano, Paolo ebbe i risultati maggiori tra le nazioni; al tempo stesso, però, aveva il forte desiderio che anche alcuni ebrei facessero i passi necessari per essere salvati (Ro 11:14). Il significato basilare del sostantivo greco diakonìa, qui reso “ministero”, è “servizio”, e il verbo affine è usato alcune volte nella Bibbia in riferimento a contesti meno ufficiali, come il servire a tavola (Lu 4:39; 17:8; Gv 2:5). Qui si riferisce al ministero cristiano: un’elevata forma di servizio che consiste nel provvedere ai bisogni spirituali di altri.

questo ministero Cioè il ministero compiuto dai “ministri di un nuovo patto” menzionati in 2Co 3:6. (Vedi approfondimento.) Per mezzo di questo ministero, che Paolo definisce un “tesoro”, la verità viene resa manifesta (2Co 4:2, 7).

Sono grato a Cristo Gesù Nel suo incarico “di svolgere un ministero”, Paolo vedeva la prova della misericordia, dell’amore e della fiducia di Gesù Cristo nei suoi confronti. In precedenza era stato “un persecutore e un insolente”, e aveva addirittura approvato l’assassinio di Stefano (1Tm 1:13; At 6:8; 7:58; 8:1, 3; 9:1, 2). Per dimostrare la propria gratitudine serviva con entusiasmo gli altri soddisfacendo i loro bisogni spirituali. È con questo stesso atteggiamento, per esempio, che predicò la buona notizia. (Vedi approfondimento a Ro 11:13.)

mantieniti assennato Il verbo greco usato qui significa alla lettera “essere sobrio” (1Pt 1:13; 5:8; vedi approfondimento a 1Ts 5:6). Nelle Scritture Greche Cristiane è utilizzato in senso figurato per trasmettere l’idea di qualcuno che è equilibrato e sa controllarsi. Paolo non sarebbe rimasto in vita ancora a lungo (2Tm 4:6-8), perciò Timoteo doveva continuare a fare la sua parte come sorvegliante per edificare la congregazione e rafforzarla in vista della predetta apostasia (1Tm 3:15; 2Tm 4:3, 4). Doveva rimanere equilibrato, attento e vigile in tutti gli aspetti del suo ministero.

svolgi l’opera di evangelizzatore O “continua a predicare la buona notizia”. Gesù aveva affidato a tutti i cristiani il compito di evangelizzare, ovvero proclamare la buona notizia della salvezza che viene da Dio (Mt 24:14; 28:19, 20; At 5:42; 8:4; Ro 10:9, 10). Nelle Scritture Greche Cristiane i termini relativi all’opera di evangelizzazione di solito si riferiscono alla predicazione a favore dei non credenti. Quale sorvegliante cristiano, Timoteo aveva molte responsabilità legate all’insegnamento all’interno della congregazione, come descritto nei vv. 1 e 2. Comunque, lui e gli altri sorveglianti dovevano anche partecipare alla predicazione della buona notizia al di fuori della congregazione.

evangelizzatore O “proclamatore della buona notizia”. (Vedi approfondimento a Mt 4:23.) Il verbo greco affine al sostantivo che compare qui viene spesso reso “annunciare la buona notizia” e ricorre molte volte nelle Scritture Greche Cristiane. Di solito si riferisce all’opera che Gesù e tutti i suoi discepoli svolgevano nel proclamare la buona notizia del Regno di Dio (Lu 4:43 e approfondimento; At 5:42 e approfondimento; 8:4; 15:35). Invece il sostantivo usato qui da Paolo e reso “evangelizzatore” compare solo tre volte; ogni volta, come si evince dal contesto, sembra avere il significato speciale di “missionario”. (Vedi approfondimenti ad At 21:8; Ef 4:11.) Quale missionario, Timoteo aveva viaggiato molto con Paolo per dare il via all’opera di predicazione in luoghi in cui la buona notizia non era ancora arrivata. L’apostolo inoltre gli aveva affidato altri incarichi speciali (At 16:3, 4; 1Tm 1:3). Ora lo incoraggia a continuare a svolgere tali importanti incarichi.

compi pienamente il tuo ministero Per riuscire a seguire questa indicazione, Timoteo poteva rifarsi all’esempio di Paolo, per il quale provvedere ai bisogni spirituali di altri, sia all’interno che all’esterno della congregazione, era un grande onore. (Vedi approfondimenti a Ro 11:13; 2Co 4:1; 1Tm 1:12.) Comunque, a tutti i veri cristiani è stato affidato un ministero (2Co 4:1). In queste che possono essere considerate le ultime esortazioni a Timoteo, Paolo lo incoraggia a dedicarsi completamente al suo ministero, senza trascurarne nessun aspetto.

sono versato come una libagione O “la mia vita è versata come una libagione”. Gli israeliti accompagnavano quasi tutte le offerte con delle libagioni, ovvero offerte che consistevano nel versare vino sull’altare (Le 23:18, 37; Nu 15:2, 5, 10; 28:7). Qui Paolo si riferisce metaforicamente a sé stesso come a una libagione. Paolo desiderava spendersi completamente, sia dal punto di vista fisico che emotivo, per sostenere i filippesi e gli altri compagni di fede mentre questi presentavano i loro sacrifici spirituali e rendevano a Dio il loro “servizio sacro”. (Confronta 2Co 12:15.) Poco prima di morire, scrisse a Timoteo: “Quanto a me, vengo già versato come una libagione, e il tempo della mia liberazione è imminente” (2Tm 4:6).

in quel giorno Paolo qui non si stava riferendo al giorno della sua morte, ma a un tempo molto più distante, quando Cristo avrebbe regnato quale Re del Regno di Dio; allora Paolo e tutti gli altri unti morti fino a quel momento sarebbero stati risuscitati alla vita immortale in cielo (1Ts 4:14-16; 2Tm 1:12).

essere liberato A quanto pare la liberazione a cui Paolo si riferisce è la sua morte. Nella seconda lettera a Timoteo, scritta intorno al 65, compare un termine greco affine quando, parlando della sua morte, Paolo dice: “Il tempo della mia liberazione è imminente” (2Tm 4:6). L’espressione “essere liberato e stare con Cristo” sembra parallela a quella usata in 2Co 5:8, dove si legge: “Preferiremmo essere lontani dal corpo e dimorare presso il Signore”. Per Paolo morire fedele equivaleva a “essere liberato”, perché gli avrebbe offerto la possibilità di essere in seguito risuscitato nel “Regno celeste” di Cristo (2Tm 4:18). Come spiegò in 1Co 15:23, “quelli che appartengono al Cristo” sarebbero stati risuscitati in cielo “durante la [futura] presenza” di Cristo. Quindi Paolo qui esprime il desiderio di terminare fedelmente la sua vita terrena per poter poi essere risuscitato in cielo. Paolo non è l’unico a usare il concetto di liberazione con questa accezione: altri autori greci lo usarono come eufemismo per indicare la morte.

versato come una libagione Secondo la Legge mosaica, insieme a olocausti e offerte di cereali si dovevano presentare libagioni (Le 23:18, 37; Nu 15:2, 5, 10; 28:7). A proposito di queste ultime, un’opera di consultazione spiega: “Come per gli olocausti, tutto veniva offerto e niente veniva dato al sacerdote; veniva versata l’intera libagione”. Scrivendo ai filippesi, Paolo fece riferimento a questo tipo di offerta per dimostrare che era felice di spendersi completamente per i suoi compagni di fede, sia dal punto di vista fisico che emotivo (Flp 2:17 e approfondimento). Qui usa la stessa espressione, questa volta riferendosi alla sua morte imminente.

mia liberazione Paolo considerava la sua morte quale unto e fedele servitore di Dio come una “liberazione”, dal momento che gli avrebbe aperto la strada alla futura risurrezione nel “Regno celeste” di Cristo (2Tm 4:18; vedi anche approfondimento a 2Tm 4:8). Già in precedenza aveva detto qualcosa di simile quando aveva scritto ai filippesi: “Desidero essere liberato e stare con Cristo” (Flp 1:23 e approfondimento). Timoteo probabilmente ricordava queste parole perché era a Roma con Paolo all’epoca della stesura di quella lettera (Flp 1:1; 2:19).

chiunque partecipa a una gara O “ogni atleta”. Qui in greco compare un verbo che è affine a un sostantivo spesso utilizzato per indicare le gare di atletica. Questo sostantivo è usato in senso figurato in Eb 12:1 con riferimento alla “corsa” cristiana per la vita. È anche usato con il significato più generico di “lotta” (Flp 1:30; Col 2:1) o di “combattimento” (1Tm 6:12; 2Tm 4:7). Lo stesso verbo greco presente qui in 1Co 9:25 è stato reso “fare ogni sforzo”, “lottare”, “prodigarsi”, “sforzarsi” e “combattere” (Lu 13:24; Col 1:29; 4:12; 1Tm 4:10; 6:12). (Vedi approfondimento a Lu 13:24.)

Combatti l’eccellente combattimento della fede In greco il verbo reso “combatti” e il sostantivo affine reso “combattimento” erano usati in riferimento all’impegno profuso dagli atleti per vincere una competizione atletica. (Vedi approfondimenti a Lu 13:24; 1Co 9:25.) Paolo qui mette in risalto che i cristiani devono combattere per la fede in Geova Dio, difendendo la verità cristiana rivelata nella Bibbia. Questo combattimento è veramente “eccellente”, o nobile. (Vedi approfondimenti a 2Tm 4:7.)

in una corsa tutti corrono Le gare di atletica erano parte integrante della cultura greca; Paolo se ne serve in modo efficace per fare degli esempi (1Co 9:24-27; Flp 3:14; 2Tm 2:5; 4:7, 8; Eb 12:1, 2). I cristiani di Corinto conoscevano bene le gare di atletica dei Giochi Istmici. Questi giochi si tenevano ogni due anni vicino a Corinto ed erano secondi per importanza solo ai Giochi Olimpici, che si tenevano a Olimpia. È probabile che Paolo fosse a Corinto durante i Giochi Istmici del 51. A questi eventi i corridori gareggiavano su diverse distanze. Nei suoi esempi Paolo fa riferimento a corridori e pugili per insegnare il valore della disciplina e della perseveranza, nonché l’importanza di fare sforzi mirati (1Co 9:26).

corsa Il termine “corsa” traduce il greco stàdion (lett. “stadio”), che può indicare la struttura in cui si svolgevano gare podistiche e altri eventi, una misura di lunghezza o la gara stessa. In questo contesto Paolo si riferisce alla gara. La lunghezza dello stàdion greco variava da un posto all’altro; a Corinto era di circa 165 m. La lunghezza di quello romano si aggirava intorno ai 185 m. (Vedi App. B14.)

protendendomi verso quello che sta davanti Per come è formulata, questa espressione suggerisce che Paolo si sta paragonando a un corridore, forse riferendosi indirettamente agli atleti che gareggiavano nei giochi che si tenevano in Grecia. (Vedi approfondimenti a 1Co 9:24.) Quel contesto era familiare nel mondo classico, e spesso i corridori erano i soggetti di statue o erano dipinti su vasellame. Un corridore impegnato in una gara non si concentrava su quello che ormai era dietro di lui; farlo lo avrebbe solo rallentato. Luciano, autore greco del II secolo, fece ricorso a una simile immagine quando scrisse: “Non appena la fune [della partenza] cade a terra, il bravo corridore pensa solo ad andare avanti, si concentra sul traguardo e affida la vittoria alle sue gambe”. Così come l’atleta concentrava ogni sforzo sul suo obiettivo, cioè tagliare il traguardo, Paolo rimase concentrato non sulle mete mondane che si era lasciato alle spalle, ma sulla ricompensa che lo attendeva. (Vedi approfondimento a Flp 3:14.)

Ho combattuto [...], ho corso [...], ho osservato Usando questi tre verbi diversi, Paolo enfatizza lo stesso concetto: ha fedelmente portato a termine la corsa della sua vita cristiana e il ministero, compiendo tutto ciò che il Signore Gesù gli aveva affidato (At 20:24). Anche se la vita di Paolo stava per finire, la sua opera avrebbe continuato a portare frutto.

l’eccellente combattimento Paolo paragona la sua vita e il suo ministero quale cristiano a un nobile combattimento, una lotta. (Vedi approfondimenti a 1Co 9:25; 1Tm 6:12.) Aveva servito Geova fedelmente nonostante numerose difficoltà; aveva coperto lunghe distanze per mare e per terra nei suoi viaggi missionari; aveva affrontato ogni tipo di persecuzione, come aggressioni da parte di folle inferocite, fustigazioni e prigionie; aveva fronteggiato anche l’opposizione di “falsi fratelli” (2Co 11:23-28). In tutto quello che aveva subìto, Geova e Gesù gli avevano dato la forza di cui aveva bisogno per rimanere fedele e portare a termine il suo ministero (Flp 4:13; 2Tm 4:17).

ho corso la corsa sino alla fine Per descrivere la sua vita da cristiano, Paolo si paragona a un corridore in una gara. Ora che si avvicina la fine della sua vita terrena, è sicuro di aver portato a termine la sua corsa simbolica. Più volte nelle sue lettere Paolo ha fatto esempi e metafore prendendo spunto dagli atleti che gareggiavano nei giochi che si tenevano in Grecia (Eb 12:1; vedi approfondimenti a 1Co 9:24; Flp 3:13).

il suo sigillo Nei tempi biblici il sigillo veniva usato come se fosse una firma per dimostrare possesso o autenticità, oppure per sottoscrivere un accordo. Nel caso dei cristiani unti, Dio ha simbolicamente posto su di loro il suo sigillo attraverso lo spirito santo per indicare che gli appartengono e che hanno la prospettiva di vivere in cielo (Ef 1:13, 14).

come garanzia di ciò che deve venire O “come caparra [“acconto”, “pegno”]”. Le tre occorrenze nelle Scritture Greche Cristiane del termine arrabòn hanno a che fare con l’unzione da parte di Dio con lo spirito, ovvero il suo spirito santo o potenza in azione (2Co 5:5; Ef 1:13, 14). Questa speciale funzione dello spirito santo è come una sorta di acconto di quello che accadrà. A motivo di questa garanzia i cristiani unti sono convinti della loro speranza. Il completo pagamento, ossia il saldo della ricompensa, comprende il fatto che si rivestiranno di un corpo celeste incorruttibile (2Co 5:1-5). Anche il dono dell’immortalità fa parte di questa ricompensa (1Co 15:48-54).

manifestazione del nostro Signore Gesù Cristo Per come è usato nelle Scritture, il termine greco per “manifestazione” (epifàneia) fa riferimento all’evidenza tangibile di qualcosa o a una dimostrazione di autorità o potenza. Viene usato, ad esempio, a proposito del periodo vissuto da Gesù qui sulla terra (2Tm 1:10 e approfondimento), ma anche a proposito di vari eventi che hanno luogo durante la sua presenza regale. (Vedi ad esempio approfondimento a 2Ts 2:8.) In questo contesto, il termine “manifestazione” si riferisce a uno stabilito periodo di tempo futuro in cui la posizione ricoperta da Gesù in cielo, in tutta la sua gloria e potenza, sarà chiaramente riconoscibile (Da 2:44; 7:13, 14; 1Tm 6:15; 2Tm 4:1).

D’ora in poi mi è riservata Paolo aveva compreso che la sua ricompensa celeste gli era ormai stata riservata; era certa. In precedenza aveva già ricevuto un anticipo, una sorta di caparra, del sigillo che ricevono gli unti figli di Dio. (Vedi approfondimenti a 2Co 1:22.) Comunque i cristiani unti ricevono il sigillo finale solo dopo aver perseverato fedelmente “sino alla fine” (Mt 10:22; 2Tm 2:12; Gc 1:12; Ri 2:10; 7:1-4; 17:14). Ora che la sua morte era imminente Paolo sapeva di aver dimostrato pienamente la sua lealtà. Per mezzo dello spirito santo, Geova gli assicurò che il sigillo finale era ormai completo, garantito. Pertanto, in quello che gli rimaneva da vivere sulla terra, la sua speranza celeste era certa.

la corona della giustizia Paolo usò la parola greca resa “corona” anche altrove. Ad esempio, in 1Co 9:25, 26 la usò in riferimento alla corona letterale, o serto, con cui venivano premiati gli atleti vincitori. In quello stesso passo scrisse che sperava di ricevere una ricompensa di gran lunga migliore: “una corona che [...] non si deteriora”. Qui si riferisce alla stessa ricompensa, definendola “la corona della giustizia”. Quando i cristiani unti conducono fino alla morte una vita all’altezza delle giuste norme divine, il Signore Gesù Cristo, qui chiamato il giusto giudice, è felice di concedere loro questa corona: la ricompensa della vita immortale in cielo.

in quel giorno Paolo qui non si stava riferendo al giorno della sua morte, ma a un tempo molto più distante, quando Cristo avrebbe regnato quale Re del Regno di Dio; allora Paolo e tutti gli altri unti morti fino a quel momento sarebbero stati risuscitati alla vita immortale in cielo (1Ts 4:14-16; 2Tm 1:12).

tutti quelli che hanno amato la sua manifestazione Durante la sua presenza regale, Cristo avrebbe rivolto la sua attenzione ai cristiani unti con lo spirito addormentati nella morte (1Ts 4:15, 16). Li avrebbe ricompensati risuscitandoli alla vita immortale in cielo, mantenendo così la sua promessa di ‘accoglierli a casa presso di lui’ (Gv 14:3; Ri 14:13; vedi l’approfondimento la corona della giustizia in questo versetto). In tal modo Cristo si sarebbe manifestato loro potentemente. Vedere questa manifestazione, cioè il loro amato Maestro nella sua gloria celeste, è qualcosa che “hanno amato”, o fortemente desiderato, nella loro vita. Anche i fedeli cristiani con la speranza di vivere sulla terra sotto il governo del celeste Regno di Dio desiderano ardentemente vedere la manifestazione di Cristo; allora la posizione ricoperta da Gesù in cielo, in tutta la sua gloria e potenza, sarà chiaramente riconoscibile a tutti (Da 2:44; vedi anche approfondimento a 1Tm 6:14).

Dema Paolo menziona questo compagno d’opera anche nella lettera a Filemone (Flm 24). Comunque, dopo appena qualche anno, mentre era prigioniero a Roma per la seconda volta, Paolo scrisse: “Dema, avendo amato l’attuale sistema di cose, mi ha abbandonato” (2Tm 4:10). Dema se n’era tornato a Tessalonica, forse sua città d’origine.

in un lungo giro fino all’Illirico L’Illirico era una provincia romana. Il territorio, chiamato anche Illiria, aveva preso il nome dalle tribù illiriche che lo abitavano. Si trovava nella parte nord-occidentale della penisola balcanica, lungo le coste dell’Adriatico. (Vedi App. B13.) I confini e le suddivisioni di questa provincia subirono molte variazioni durante la dominazione romana. Non si può stabilire con certezza se la preposizione greca resa “fino a” sia da intendersi nel senso che Paolo predicò effettivamente nell’Illirico o che arrivò solo ai suoi confini.

Dema [...] mi ha abbandonato Il verbo greco “abbandonare” può riferirsi a chi lascia una persona da sola in mezzo a circostanze pericolose. Dema era stato uno dei più intimi amici di Paolo. Dalle lettere che Paolo scrisse durante la sua prima detenzione a Roma si comprende che Dema era lì con lui (Flm 24; vedi approfondimento a Col 4:14). Tuttavia in questa circostanza la situazione di Paolo era peggiore. Diversi compagni di fede lo avevano lasciato (2Tm 1:15). Paolo non sta dicendo che Dema fosse diventato un oppositore o un apostata. Dema si era comunque lasciato sfuggire l’immenso privilegio di stare accanto al fedele apostolo e confortarlo in quel momento di bisogno.

avendo amato l’attuale sistema di cose O “avendo amato l’attuale era”, “avendo amato l’attuale epoca”. (Vedi Glossario, “sistema/i di cose”.) Forse l’amore che Dema nutriva per le cose materiali e i piaceri del mondo era diventato più forte di quello per le cose spirituali. Oppure il timore della persecuzione o la paura di subire il martirio lo aveva indotto a cercare un luogo più sicuro. Secondo un commentario, qui “l’attuale sistema di cose” si riferisce a “una vita in questo mondo priva dei pericoli e dei sacrifici legati all’assistere l’apostolo”. È possibile che Dema se ne fosse andato a Tessalonica, visto che quella era la sua città. Ognuno di questi fattori potrebbe aiutare a spiegare perché Dema avesse permesso all’amore per “l’attuale sistema di cose” di soppiantare l’amore per lo speciale privilegio di servire al fianco di Paolo.

Dalmazia La Dalmazia si trova nella penisola balcanica, a E dell’Adriatico. Il nome era usato per riferirsi alla parte meridionale della provincia romana dell’Illirico. Comunque, quando Paolo scrisse questa lettera, la Dalmazia era una provincia a sé. (Vedi App. B13.) È possibile che Paolo avesse attraversato la Dalmazia, dal momento che aveva predicato “fino all’Illirico” (Ro 15:19 e approfondimento). Aveva chiesto a Tito che era a Creta di raggiungerlo a Nicopoli, forse la Nicopoli che si trovava sulla costa nord-occidentale di quella che oggi è la Grecia (Tit 3:12). Perciò è plausibile che Tito sia rimasto lì a Nicopoli con Paolo, e poi sia andato in Dalmazia per un nuovo incarico di servizio. Lì probabilmente servì come missionario e aiutò a organizzare le congregazioni, un po’ come aveva fatto a Creta (Tit 1:5).

a casa di Maria A quanto pare la congregazione di Gerusalemme si riuniva in una casa privata, quella di Maria, madre di Giovanni Marco. Maria aveva una casa sufficientemente grande da poter accogliere “molti” fedeli e al suo servizio c’era una serva. Quindi è possibile che fosse una donna abbastanza benestante (At 12:13). Inoltre il fatto che l’abitazione venga definita “casa di Maria”, senza alcun riferimento a un marito, suggerisce che probabilmente la donna fosse vedova.

Giovanni, soprannominato Marco Discepolo di Gesù, “cugino di Barnaba” (Col 4:10) e scrittore del Vangelo di Marco. (Vedi approfondimento a Mr titolo.) Giovanni è l’equivalente italiano del nome ebraico Ieoanan (o Ioanan), che significa “Geova ha mostrato favore”, “Geova è stato benigno”. In At 13:5, 13 il discepolo è chiamato semplicemente Giovanni. Comunque, qui e in At 12:25; 15:37 è riportato anche il suo nome romano, Marco. In altri punti delle Scritture Greche Cristiane questo discepolo è chiamato soltanto Marco (Col 4:10; 2Tm 4:11; Flm 24; 1Pt 5:13).

Marco In At 12:12, 25; 13:5, 13 viene anche chiamato Giovanni. (Vedi approfondimenti a Mr titolo; At 12:12.) In vista del suo secondo viaggio missionario (49-52 ca.), Paolo si trovò in disaccordo con Barnaba perché non voleva che Marco li accompagnasse; questo causò tra loro “una discussione talmente accesa” che ognuno prese la sua strada (At 15:37-39). Nonostante ciò, in 1Co 9:6 Paolo menziona Barnaba in una luce positiva, il che lascia intendere che quando scrisse ai colossesi i due si erano già rappacificati. Il fatto che Marco fosse con Paolo a Roma durante la sua prima detenzione fa capire che nel frattempo la stima di Paolo nei suoi confronti era cresciuta; lo definì infatti “fonte di grande conforto”. (Vedi approfondimento a Col 4:11.) Fu forse mentre era con Paolo a Roma che Marco scrisse il Vangelo che porta il suo nome. (Vedi anche “Introduzione a Marco”.)

Solo Luca è con me Sembra che, fra tutti i compagni di viaggio di Paolo, Luca sia l’unico che riuscì a rimanere in stretto contatto con lui durante la sua ultima detenzione (Col 4:14; vedi “Introduzione ad Atti”). Pare comunque che i due abbiano potuto contare su qualche tipo di aiuto. Nel v. 21, l’apostolo infatti menziona i saluti per Timoteo e per i fratelli di Efeso da parte di almeno altre quattro persone. Forse si tratta di cristiani della congregazione locale che avevano la possibilità di andare a trovare Paolo.

Porta con te Marco Qui Paolo si riferisce a Giovanni Marco, uno dei discepoli di Gesù e scrittore del Vangelo di Marco. (Vedi approfondimenti ad At 12:12.) Marco aveva accompagnato Paolo e Barnaba nel primo viaggio missionario di Paolo, ma poi li aveva lasciati ed era tornato a Gerusalemme (At 12:25; 13:5, 13). Per questo motivo Paolo si era rifiutato di portarlo con sé nel viaggio successivo (At 15:36-41). Comunque una decina di anni più tardi Marco era con Paolo a Roma. A quel tempo Paolo aveva parlato in tono positivo di lui, a indicare che si erano rappacificati e che lo considerava di nuovo affidabile (Flm 23, 24; vedi approfondimento a Col 4:10). Dimostrando di avere fiducia in questo fedele ministro cristiano, Paolo dice a Timoteo: “Porta con te Marco, perché mi è utile nel ministero”.

Tichico Tichico era un ministro cristiano originario della provincia dell’Asia di cui Paolo apprezzò molto l’aiuto (At 20:2-4). Paolo gli affidò il compito di portare la lettera ai Colossesi, la lettera a Filemone (un fratello della congregazione di Colosse) e quella agli Efesini. Ma Tichico fu più che un corriere: il suo incarico comportava riferire alle congregazioni tutto ciò che riguardava Paolo, probabilmente anche i dettagli relativi alla sua detenzione, la sua salute e le sue necessità. Paolo sapeva che questo “amato fratello” e “fedele ministro” l’avrebbe fatto in modo tale da confortare il cuore dei fratelli e da aggiungere forza agli importanti insegnamenti contenuti nel suo messaggio ispirato (Col 4:8, 9; vedi anche Ef 6:21, 22). Una volta liberato, Paolo valutò la possibilità di mandare Tichico a Creta (Tit 3:12). E durante la sua seconda detenzione a Roma, lo mandò a Efeso (2Tm 4:12).

Tichico [...] l’ho mandato a Efeso Paolo aveva scelto Tichico, caro e fedele fratello, affinché visitasse la congregazione di Efeso, forse in sostituzione di Timoteo. (Vedi approfondimento a Col 4:7.) Sapendo che Tichico sarebbe arrivato presto e che la congregazione sarebbe stata in buone mani, Timoteo si sarà sentito libero di partire per andare a trovare Paolo a Roma per l’ultima volta (2Tm 4:9). Questo versetto contiene l’ultima menzione della congregazione di Efeso nelle lettere di Paolo. Circa 30 anni dopo, comunque, questa congregazione è tra quelle a cui Gesù indirizza la rivelazione data all’apostolo Giovanni (Ri 2:1).

i rotoli A quanto pare i rotoli che chiese Paolo contenevano parti delle ispirate Scritture Ebraiche. Il termine greco usato qui, biblìon, è affine alla parola bìblos, che in origine faceva riferimento al midollo del papiro. (Vedi Glossario, “rotolo”; “papiro”.) Dato che il papiro venne utilizzato per produrre materiale scrittorio, entrambi i termini greci finirono per riferirsi a un rotolo o a un libro (Mr 12:26; Lu 3:4; At 1:20; Ri 1:11). Nelle Scritture Greche Cristiane, la parola usata qui da Paolo può riferirsi a un breve documento scritto (Mt 19:7; Mr 10:4); comunque è più spesso utilizzata in riferimento a parti delle Scritture Ebraiche (Lu 4:17, 20; Gal 3:10; Eb 9:19; 10:7). Il sostantivo “Bibbia” deriva dal termine greco presente in questo versetto.

soprattutto le pergamene Con il termine pergamena si intende la pelle di pecora, capra o vitello conciata per essere usata come materiale scrittorio. (Vedi Glossario, “pergamena”.) Paolo non dice nello specifico a cosa facesse riferimento con questo termine. Forse aveva in mente rotoli di pelle che contenevano le Scritture Ebraiche. Oppure queste pergamene potevano contenere appunti o altri suoi scritti. Infatti secondo alcuni studiosi la parola greca per “pergamene” può indicare quaderni di pergamena. Quando Paolo scrisse questa lettera era sicuro di “[aver] combattuto l’eccellente combattimento” sino alla fine (2Tm 4:6-8). Nonostante questo, chiese a Timoteo di “[portargli] i rotoli, soprattutto le pergamene”. Evidentemente desiderava continuare a rafforzare sé stesso e altri tramite l’ispirata Parola di Dio.

Imeneo e Alessandro Questi uomini “[avevano fatto] naufragare la loro fede” (1Tm 1:19) e a quanto pare promuovevano false dottrine. In 2Tm 2:16-18, per esempio, Paolo scrisse che Imeneo e Fileto asserivano che la risurrezione fosse già avvenuta e “[sovvertivano] la fede di alcuni”. (Vedi approfondimenti a 2Tm 2:18.) Alessandro forse era il ramaio menzionato in 2Tm 4:14, 15 che “[aveva] arrecato molti danni” a Paolo e che si era opposto “in maniera estrema” al messaggio che lui e i suoi compagni d’opera proclamavano. (Vedi approfondimento a 2Tm 4:14.) L’espressione tra questi ci sono lascia intendere che fossero già diversi quelli che avevano rinnegato la fede e che stavano esercitando un’influenza negativa su alcuni nella congregazione.

che io ho consegnato a Satana A quanto pare questa espressione si riferisce all’espulsione, o disassociazione, di Imeneo e Alessandro dalla congregazione. Il provvedimento si era reso necessario perché questi uomini avevano deliberatamente intrapreso una condotta peccaminosa senza pentirsi. (Vedi approfondimento a 1Co 5:5.)

Alessandro, il ramaio Paolo mette in guardia Timoteo contro un certo Alessandro che si era opposto “in maniera estrema” al messaggio che Paolo e i suoi compagni d’opera proclamavano (2Tm 4:15). Definendo Alessandro “ramaio”, l’apostolo usa un termine greco che nel I secolo poteva indicare una persona che lavorava qualsiasi tipo di metallo. È probabile che sia lo stesso Alessandro menzionato in 1Tm 1:20, che a quanto pare era stato espulso dalla congregazione. (Vedi approfondimenti.) Qui Paolo non specifica quali danni quest’uomo gli avesse procurato. Alcuni ritengono che Alessandro potrebbe aver avuto una parte nell’arresto di Paolo e possa addirittura aver testimoniato contro di lui dicendo cose false.

Geova lo ripagherà Qui Paolo esprime la sua fiducia nel fatto che Dio ripagherà il ramaio Alessandro secondo le sue azioni. Quello di Paolo è un richiamo a diversi versetti delle Scritture Ebraiche che si riferiscono a Geova Dio come a colui che ripaga gli esseri umani in base alle loro azioni, buone o cattive che siano. Un esempio è Sl 62:12, dove il salmista dice: “O Geova, [...] tu ripaghi ciascuno secondo le sue azioni”. (Vedi anche Sl 28:1, 4; Pr 24:12; La 3:64.) Paolo fa un’affermazione simile in Ro 2:6, dove riguardo a Dio dice: “Egli ripagherà ciascuno secondo le sue opere”. E in Ro 12:19, citando le parole di Geova riportate in De 32:35, scrive: “La vendetta è mia; io ripagherò”. (Per maggiori informazioni sull’uso del nome divino in questo versetto, vedi App. C3 introduzione; 2Tm 4:14.)

non tiene conto del male Anticamente il verbo greco logìzomai, qui reso “tenere conto”, veniva di solito usato nell’ambito contabile con il senso di contare o fare calcoli. Era usato anche con il significato di “pensare”, “ripensare a lungo” o “meditare”. (Vedi Flp 4:8, dove lo stesso verbo greco è tradotto “continuate a considerare”.) Chi mostra amore non rimugina, non prende nota “del male” [o “dei torti”], ad esempio parole o azioni che feriscono, come se si appuntasse in un registro tutti i torti subiti per non dimenticarli. Lo stesso verbo greco compare in 2Co 5:19 (dove è reso “imputare”) per spiegare che Geova non tiene il conto delle colpe degli uomini.

Nella mia prima difesa Nelle procedure legali romane all’accusato poteva essere chiesto di difendersi in varie fasi di un processo. In questo momento, intorno al 65, Paolo è imprigionato a Roma, e qui probabilmente fa riferimento a una prima difesa che aveva fatto durante questa sua seconda detenzione. Secondo alcuni, invece, Paolo si sta riferendo a una difesa da lui pronunciata durante la sua precedente detenzione a Roma, all’incirca nel 61 (At 28:16, 30). Comunque questa conclusione pare poco probabile: verrebbe da chiedersi come mai Paolo avrebbe scritto a Timoteo riguardo a fatti che già conosceva (Col 1:1, 2; 4:3).

ma questo non sia imputato loro A quanto pare Paolo si riferisce ai compagni di fede che non lo avevano sostenuto durante la sua “prima difesa”, esperienza che lui descrive con termini forti (2Tm 4:17). Comunque, da Cristo aveva imparato cosa significa perdonare. Al momento del suo arresto Gesù era stato abbandonato dai suoi amici più stretti (Mr 14:50). Come Gesù, Paolo rifiutò di covare risentimento o rancore contro i suoi fratelli. (Vedi approfondimento a 1Co 13:5.)

continua ad attingere forza Paolo invita Timoteo ad attingere forza da Geova Dio, l’inesauribile Fonte di potenza. Usa il verbo greco endynamòo, affine al sostantivo dỳnamis (“potenza”, “forza”), che compare in 2Tm 1:8 nell’espressione “potenza di Dio”. Un commentario fa notare che, per come è usato qui in 2Tm 2:1, il verbo utilizzato da Paolo “indica il bisogno di Timoteo di dipendere costantemente da Dio, come se gli volesse dire: ‘Continua a essere rafforzato’”. Lo stesso verbo compare in Ef 6:10, dove Paolo incoraggia i cristiani di Efeso con queste parole: “Continuate a rafforzarvi nel Signore [Geova Dio] e nella sua possente forza”.

ho combattuto a Efeso con le bestie feroci Spesso i romani giustiziavano i criminali gettandoli in pasto alle bestie nelle arene. Alcuni studiosi ritengono che questo tipo di condanna non potesse essere inflitta a un cittadino romano, come lo era Paolo, ma ci sono attestazioni storiche relative ad alcuni cittadini romani che furono effettivamente gettati in pasto ad animali feroci o costretti a combatterli. Ciò che Paolo dice in 2Co 1:8-10 potrebbe benissimo descrivere un episodio all’interno di un’arena. Se si trovò ad affrontare delle bestie letterali, probabilmente Paolo riuscì a scampare per intervento divino. (Confronta Da 6:22.) Questa eventuale esperienza sarebbe una delle tante in cui Paolo si trovò “in pericolo di morte” durante il suo ministero (2Co 11:23). Altri studiosi avanzano l’ipotesi che qui Paolo usi l’espressione “bestie feroci” in senso figurato per indicare la feroce opposizione incontrata a Efeso (At 19:23-41).

Il Signore [...] mi è stato vicino A quanto pare “il Signore” che “ha infuso potenza” a Paolo è Gesù Cristo. (Vedi anche 1Tm 1:12.) Ovviamente la Fonte primaria di potenza è Geova Dio; infatti è lui che dà forza ai suoi servitori tramite Gesù Cristo (Isa 40:26, 29; Flp 4:13; 2Tm 1:7, 8; vedi anche approfondimento a 2Tm 2:1).

sono stato liberato dalla bocca del leone Le parole di Paolo potrebbero essere un richiamo alla supplica di Davide riportata in Sl 22:21. Non si sa se vadano intese in senso letterale o figurato. (Confronta approfondimento a 1Co 15:32.) Se si trattò di leoni letterali, probabilmente la liberazione di Paolo da parte di Geova sarà stata simile a quella di Daniele (Da 6:16, 20-22). D’altra parte diversi studiosi ritengono che la cittadinanza romana che aveva Paolo lo avrebbe protetto dall’essere gettato in pasto ai leoni. L’espressione “dalla bocca del leone” può essere una metafora per indicare una situazione di estremo pericolo. (Confronta Sl 7:2; 35:17.)

la corona della giustizia Paolo usò la parola greca resa “corona” anche altrove. Ad esempio, in 1Co 9:25, 26 la usò in riferimento alla corona letterale, o serto, con cui venivano premiati gli atleti vincitori. In quello stesso passo scrisse che sperava di ricevere una ricompensa di gran lunga migliore: “una corona che [...] non si deteriora”. Qui si riferisce alla stessa ricompensa, definendola “la corona della giustizia”. Quando i cristiani unti conducono fino alla morte una vita all’altezza delle giuste norme divine, il Signore Gesù Cristo, qui chiamato il giusto giudice, è felice di concedere loro questa corona: la ricompensa della vita immortale in cielo.

Il Signore Come nel caso del versetto precedente, a quanto pare Paolo si sta riferendo al Signore Gesù Cristo. (Vedi anche 2Tm 4:8 e approfondimento.)

mi libererà da ogni opera malvagia A motivo della sua fede Paolo aveva affrontato molte situazioni di estremo pericolo, tra cui crudele persecuzione e attacchi degli apostati. Ma il Signore Gesù gli era stato vicino, gli aveva infuso potenza e lo aveva liberato (2Tm 3:11; 4:14-17). Adesso Paolo non si aspetta di evitare la morte (2Tm 4:6-8). Comunque, quello che ha vissuto in passato gli dà la certezza che Gesù Cristo continuerà a liberarlo da qualsiasi cosa possa distruggere la sua fede o impedirgli di entrare nel “Regno celeste”.

Aquila Questo devoto cristiano e la sua fedele moglie, Priscilla (chiamata anche Prisca), sono definiti “compagni d’opera” di Paolo (Ro 16:3). Vengono menzionati complessivamente sei volte nelle Scritture Greche Cristiane (At 18:18, 26; 1Co 16:19; 2Tm 4:19), e sempre insieme. Priscilla è il diminutivo di Prisca. La forma più breve ricorre negli scritti di Paolo, mentre Luca usa quella più lunga. Questo tipo di variazione era comune nei nomi romani. Espulsi da Roma in seguito al decreto contro gli ebrei emanato dall’imperatore Claudio nel 49 o all’inizio del 50, Aquila e Priscilla si stabilirono a Corinto. Quando arrivò lì nell’autunno del 50, Paolo lavorò con Aquila e Priscilla facendo insieme a loro il fabbricante di tende. Senza dubbio i due aiutarono Paolo a rafforzare la nuova congregazione locale. Aquila era nativo del Ponto, regione dell’Asia Minore settentrionale lungo il Mar Nero. (Vedi App. B13.)

Prisca e Aquila Questa coppia di fedeli cristiani era stata espulsa da Roma in seguito al decreto contro gli ebrei emanato dall’imperatore Claudio nel 49 o all’inizio del 50. Nel 54 Claudio morì, e verso il 56, quando Paolo scrisse questa lettera, Prisca e Aquila erano di nuovo a Roma. (Vedi approfondimento ad At 18:2.) Paolo li definisce suoi compagni d’opera. Il termine greco tradotto “compagno d’opera” (synergòs) compare 12 volte nelle Scritture Greche Cristiane, soprattutto nelle lettere di Paolo (Ro 16:9, 21; Flp 2:25; 4:3; Col 4:11; Flm 1, 24). È interessante che Paolo usi lo stesso termine greco quando in 1Co 3:9 dice: “Siamo collaboratori di Dio”.

Onesiforo Questo fedele cristiano era speciale per il modo leale e altruistico in cui aveva sostenuto Paolo. L’apostolo infatti lo loda per “tutto quello che [aveva fatto]” in precedenza per lui a Efeso (2Tm 1:18). Sembra che anche Timoteo lo conoscesse. La specifica “quando venne a Roma” lascia intendere che Onesiforo avesse viaggiato sin lì, ma il racconto non dice se lo fece appositamente per vedere Paolo oppure per un’altra ragione (2Tm 1:17). Qui Paolo chiede la benedizione di Dio sui componenti della casa di Onesiforo e successivamente, nella conclusione della lettera, manda loro i suoi saluti (2Tm 4:19).

Da’ i miei saluti a Prisca e Aquila Paolo conosceva questa coppia ospitale da circa 15 anni. Prisca e Aquila si erano impegnati molto per rafforzare le congregazioni in diverse località. Dopo essere stati costretti a lasciare Roma, a Corinto incontrarono Paolo per la prima volta (At 18:1-3; 1Co 16:19); poi si trasferirono a Efeso (At 18:18, 19, 24-26); tornarono in seguito a Roma per un po’ (Ro 16:3, 4) e poi di nuovo a Efeso, nello stesso periodo in cui vi stava servendo Timoteo. (Vedi approfondimenti ad At 18:2; Ro 16:3.)

alla casa di Onesiforo Vedi approfondimento a 2Tm 1:16.

Fa’ tutto il possibile per arrivare prima dell’inverno Paolo desidera che Timoteo parta per Roma prima dell’inverno, forse perché i rigidi mesi invernali potevano rendere il viaggio troppo rischioso. Nell’antichità non era possibile navigare nel Mediterraneo nell’ultima parte dell’autunno, per tutto l’inverno e all’inizio della primavera. Durante tutto quel periodo le tempeste erano più frequenti e pericolose (At 27:9-44; vedi anche Galleria multimediale, “Atti degli Apostoli | Viaggio di Paolo verso Roma e prima detenzione nella città”). Inoltre la maggiore nuvolosità, insieme a pioggia, neve e nebbia, riduceva la visibilità e rendeva la navigazione difficile. Dato che non esisteva la bussola, i marinai dovevano fare completo affidamento su punti di riferimento o sulla posizione del sole, della luna e delle stelle. Inoltre se Timoteo fosse arrivato prima dell’inverno e avesse portato il mantello che Paolo aveva lasciato a Troas, quest’ultimo avrebbe avuto qualcosa con cui scaldarsi durante i freddi mesi invernali in prigione (2Tm 4:13; vedi anche Galleria multimediale, “Portami il mantello”).

immeritata bontà Vedi Glossario.

con lo spirito che voi mostrate Lett. “con lo spirito di voi”. In questo contesto la parola “spirito” si riferisce a quella forza interiore o inclinazione mentale dominante che spinge una persona a dire o a fare le cose in un certo modo. Per esempio nelle Scritture si parla di “spirito quieto e mite” (1Pt 3:4) e di “spirito di mitezza” (Gal 6:1). In 2Tm 1:7 Paolo fa un contrasto tra “uno spirito di codardia” e uno “di potenza, di amore e di assennatezza”. Conclude poi la sua lettera a Timoteo dicendo: “Il Signore sia con lo spirito che tu mostri” (2Tm 4:22). Proprio come un singolo individuo, anche un gruppo di persone può manifestare un certo spirito. Qui nelle parole conclusive rivolte ai galati, così come in quelle ai filippesi, Paolo usa il plurale “voi” per esprimere il suo desiderio che nella congregazione tutti manifestino uno spirito conforme alla volontà di Dio e all’esempio lasciato da Cristo (Flp 4:23).

lo spirito che voi mostrate Concludendo la sua lettera, Paolo usa in greco il pronome plurale qui reso “voi”, probabilmente rivolgendo queste parole a tutti quelli menzionati nei vv. 1 e 2, inclusa la “congregazione che si riunisce a casa [di Filemone]” (Flm 2 e approfondimento). Paolo esprime la speranza che l’immeritata bontà di Gesù Cristo sia con il loro “spirito”. Qui il termine si riferisce alla forza interiore, o inclinazione mentale dominante, che spingeva quelle persone a dire o a fare le cose in un certo modo. (Vedi Glossario, “spirito”.) Con la benedizione di Cristo sarebbero state in grado di continuare a parlare e agire in modo conforme alla volontà di Dio e all’esempio di Cristo (Gal 6:18 e approfondimento; Flp 4:23).

Il Signore A quanto pare in riferimento al Signore Gesù Cristo. (Confronta Gal 6:18; Flp 4:23; 1Ts 5:28; Flm 25.)

con lo spirito che tu mostri Lett. “con il tuo spirito”, cioè con l’atteggiamento mentale dominante di Timoteo. (Vedi Glossario, “spirito”.) Paolo conclude questa lettera esprimendo il desiderio che lo spirito, o atteggiamento, positivo di Timoteo sia benedetto. (Vedi approfondimenti a Gal 6:18; Flm 25.)

immeritata bontà Vedi Glossario.

con voi Nella frase precedente di questo versetto Paolo si è rivolto a Timoteo usando il pronome singolare “tu”. Ora invece utilizza il pronome plurale “voi”. Quindi è probabile che volesse che questa lettera indirizzata a Timoteo venisse letta anche ad altri, inclusa la congregazione di Efeso, dove a quanto pare lo stesso Timoteo serviva a quel tempo.

Galleria multimediale

“Portami il mantello”
“Portami il mantello”

Mentre era prigioniero a Roma, Paolo scrisse a Timoteo: “Portami il mantello che ho lasciato a Troas” (2Tm 4:13). La parola greca per “mantello” potrebbe riferirsi a un soprabito da viaggio, simile a quello che si vede nell’immagine. Nel I secolo questo capo d’abbigliamento era indispensabile. Spesso era realizzato con un unico pezzo di tessuto (lana o lino) oppure di pelle, a cui si cuciva un cappuccio. Proteggeva dal freddo e dalle intemperie, e di notte poteva anche essere usato come coperta. Quando Paolo scrisse la sua lettera, l’inverno era ormai vicino, e questo potrebbe spiegare il motivo per cui chiese a Timoteo di portargli il suo mantello (2Tm 4:21).

La pergamena: materiale scrittorio per quaderni e rotoli
La pergamena: materiale scrittorio per quaderni e rotoli

La pergamena era un materiale scrittorio ricavato da pelle animale, come quella di pecora, capra o vitello. Rispetto al papiro, era più resistente. (Vedi Glossario, “papiro”.) La foto (1) mostra ciò che resta di un antico quaderno di pergamena risalente al II secolo; è possibile che, in origine, questo quaderno fosse composto da singoli fogli di pergamena cuciti lungo un lato, a mo’ di libro. La pergamena poteva essere utilizzata per realizzare anche i rotoli, come quello che si vede nell’immagine (2); più fogli di pergamena venivano uniti per formare un unico lungo rotolo. Quando chiese a Timoteo di portargli “le pergamene” (2Tm 4:13), probabilmente Paolo si riferiva a rotoli di pelle che contenevano le Scritture Ebraiche. È anche possibile, però, che avesse in mente degli appunti che aveva preso mentre studiava. Infatti secondo alcuni studiosi la parola greca per “pergamene” può indicare anche quaderni di pergamena contenenti appunti di carattere personale o bozze.

Paolo a Mileto
Paolo a Mileto

Nella cartina è indicata l’antica città di Mileto, sulla costa occidentale dell’Asia Minore (nell’odierna Turchia). Il racconto biblico suggerisce che Paolo sia stato in questa città almeno due volte. La prima volta fu verso la fine del suo terzo viaggio missionario (ca. 56). Mentre era diretto a Gerusalemme, arrivò via mare a Mileto, e da lì mandò a chiamare gli anziani della congregazione di Efeso per un’importante adunanza. Per andare da Efeso a Mileto, quegli anziani viaggiarono via terra e probabilmente anche con la nave, coprendo all’incirca 70 km. Quando fu il momento di lasciarlo, salutarono Paolo tra le lacrime e lo accompagnarono alla nave perché continuasse il viaggio (At 20:17-38). Sembra che Paolo sia tornato a Mileto dopo il rilascio dalla sua prima detenzione a Roma. Infatti scrisse: “Trofimo, che si è ammalato, l’ho lasciato a Mileto” (2Tm 4:20; vedi la cartina “Viaggi di Paolo successivi al 61 E.V. ca.”).

1. Parte di uno degli antichi porti di Mileto. A causa dell’interrimento, attualmente le rovine della città si trovano a circa 8 km nell’entroterra.

2. L’antico teatro fu costruito nel III secolo a.E.V. e ristrutturato più volte.

3. La cartina indica com’era la costa nell’antichità.